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Una nuova avventura fantapolitica per il regista, made in Monty Python, Terry Gilliam.

Grottesco, non-sense, simbolismo e cinismo; un vortice di tematiche e concetti filosofico esistenzialisti  sapientemente intessuti creano lo spettacolo di futurismo, distopia e contemporaneo male di vivere offerto da The Zero Theorem, l’ultimo film del regista Terry Gilliam.

Satira amara e ricerca formale

Se si dovesse attribuire un aggettivo al Cinema partorito dalla mente di Gilliam esso potrebbe essere senz’altro: visionario.

Lo studio formale, le inquadrature ricercate e mirabolanti, le soluzione visive eclettiche sono alcuni tra i suoi principali marchi di fabbrica, ma non è tutto, anzi, c’è molto di più.

Quello che Terry Gilliam fa è principalmente dispensare spunti di riflessione, incantare e dividere, coinvolgendo, più che i sensi, la mente.

Così è successo per Brazil (1985), universalmente riconosciuto come il suo massimo capolavoro,  in cui con audacia vengono miscelati sacro e profano, cultura pop e riferimenti ‘alti’. Ed è avvenuto ancora per L’esercito delle 12 scimmie (1995) un’avventura all’insegna di viaggi nel tempo e scenari post-apocalittici.

Non è un caso che i due titoli appena citati sembrino essere intimamente legati al nuovissimo The Zero Theorem, quasi come se quest’ultimo sia  stato concepito come il capitolo conclusivo di una trilogia di stampo fantapolitico il cui comune denominatore è, nemmeno a dirlo, il futuro.

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La trama

«Il modo più sicuro di figurare il futuro è rifarsi al passato. Oggi è il tempo delle tecnologie e del tramonto delle fedi», afferma il regista in un intervista al Corriere della Sera. Non sorprende quindi che l’ambientazione scelta per il suo ultimo film sia una Londra futuristica, indesiderabile ed asfissiante in cui ha ritrovato terreno fertile il più estremo proibizionismo; nel mondo di Qohen Leth (Cristoph Waltz), il calvo e spettrale protagonista, non si può bere, non si può fumare, non si possono portare a spasso i cani e le persone animano strade senz’anima, in cui tutti s’affannano e non v’è tempo per frivolezze che così poco hanno di tecnologico come il calore umano.

La tecnologia è diventata “la” religione, nonché il saldo fondamento di una società senza punti di riferimento e Qohen stesso è profondamente integrato nel sistema. Trascorre la sua esistenza lavorando come hacker alle dipendenze del Signore del computer, sa il fatto suo in quanto a numeri e formule, tuttavia ha un grosso problema, è ossessionato dalla ricerca del senso della vita ed è convinto che un giorno o l’altro riceverà la “chiamata”, letterale, una telefonata direttamente a casa che finalmente gli darà la risposta che cerca.

Smarrito in una realtà in balia del caos in cui la fede ed i principi hanno cessato di esistere da un pezzo, Qohen tenta di risalire la corrente verso la fonte di quel continuo mutare apparentemente casuale che è la vita e ne ha l’occasione pratica nel momento in cui gli viene commissionato di lavorare al “Teorema Zero”, una formula che dovrebbe riuscire a svelare proprio l’origine ed il fine ultimo di ogni cosa.

A complicare la trama però vi è la patologia di cui il nostro protagonista è afflitto, smanioso di dare una scossa alla sua vita, è ormai troppo invischiato nella rete di paure che costituiscono la sua malsana routine ed al di là del porto sicuro dei rapporti virtuali, in cui è egli stesso a dettare le regole del gioco, è incapace di qualsiasi contatto con la realtà.

Ciò chiaramente compromette tutti i rapporti umani che egli ha potenzialmente occasione di stabilire, che si tratti di Bainsley (Mélanie Thierry) la seducente giovane donna che sembra provare per lui un certo attaccamento, o Bob il figlio del suo onnisciente datore di lavoro che prova a riportarlo con i piedi per terra.

Ogni tentativo di distogliere Qohen dal vuoto che lo divora è inutile, non resta altro da fare che arrendersi al buco nero che ci viene mostrato ad inizio film e che torna a giocare un ruolo centrale nella sua conclusione, in un finale tutto da scoprire.

The Zero Theorem presentato in anteprima alla 70° Mostra del Cinema di Venezia sarà nei cinema il prossimo dicembre, e già sappiamo che il suo debutto difficilmente passerà inosservato.

di Mara D’Alessandro