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Venne rinvenuta in un avanzato stato di decomposizione, al punto che il medico legale si riservò di approfondire le cause della morte con l’esame autoptico, non potendo in quella fase del ritrovamento stabilire se vi fossero segni sul corpo della povera donna. Elemento che comunque parve prendere piede da subito fu lo strangolamento di Betta.

Betta viveva sola nel suo appartamento e intratteneva da tempo una relazione con il reo confesso Antonio Canò, 50 anni, pregiudicato, più volte denunciato dalla stessa per maltrattamenti e violenze domestiche. Il suo assassino andava spesso a trovarla e, sempre i vicini di casa, riferirono di aver spesso sentito le urla della donna provenienti dall’abitazione, nell’appartamento del terzo piano di quella palazzina.



Un rapporto burrascoso, malato, che spesso sfociava in violenze che molti conoscevano, o quanto meno, sospettavano.

Uno dei nipoti di Betta, Pierpaolo Ascari, affida il suo dolore per la morte della zia in una lettera pubblicata nel suo profilo Facebook, ove emerge l’impotenza non solo della povera vittima in balìa di colui che divenne il suo assassino, ma anche degli stessi parenti più stretti che, come spesso accade in casi di questo tipo, si interrogano e cercano di consigliare o intervenire, ottenendo però scarsi risultati.

Questo è il contenuto dello sfogo di Pierpaolo Ascani:

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