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Le tante verità dello zio Michè, i risultati dell’Ert e i dettagli di una storia raccapricciante

Qualcuno aveva paragonato la vicenda di Sarah Scazzi a quella di tante ragazzine che a un certo punto della loro breve esistenza pensano di scappare di casa; qualcuno aveva addirittura portato alla memoria la scomparsa della quindicenne Emanuela Orlandi quando un pomeriggio di agosto si era detto che Sarah era stata vista per l’ultima volta salire su un’auto scura.

Invece, così come spesso accade, la fantasia deve fermarsi dinanzi la realtà. Sarah Scazzi viene infatti trovata morta l’8 ottobre, nuda e deturpata in fondo a un pozzo nei dintorni di Avetrana, in provincia di Taranto. La fantasia è quella strana ombra che a volte bussa alla porta delle menti fragili, quasi all’improvviso.

E allora si scopre inizialmente che l’assassino è lo zio di Sarah, Michele Misseri; poi lo scenario cambia e l’orco diventa la figlia; fino a spostare l’attenzione sull’intera famiglia col sospetto della complicità nell’erigere il muro di un’omertà preordinata. Ma andiamo per gradi. L’odissea del caso Scazzi inizia con la macabra scoperta del corpo della ragazza. Si cerca l’assassino e in poche ore il giallo termina di essere tale e assume i contorni di una verità strappata a Michele Misseri dopo ore e ore di interrogatorio serrato.

Tutto chiaro: lo zio Michele molestava la nipote e quest’ultima si era decisa a denunciarlo. Il movente c’è, così come c’è la dinamica dell’omicidio. Sembra un mistero finito e invece si è appena all’inizio di quel che da quasi tre mesi “tormenta” programmi televisivi e redazioni giornalistiche.

L’obiettivo di tutti è quello di cercare uno scoop che sostanzialmente non esiste perché ognuno, dentro di sé, conosce la verità; o ancora, il tentativo è quello di cercare un’espressione che possa mostrarsi risolutiva per le indagini e preziosa per l’auditel. Il caso Scazzi procede invece per gradi, con piccoli colpi di scena che potrebbero essere interpretati come una paradossale “sensazionalità prevedibile”.

Nel corso delle prime indagini, infatti, la verità appare chiara ma l’impressione svanisce dopo pochi giorni. Michele Misseri lascia ricadere su di sé la colpa di quanto accaduto: lui avrebbe attirato Sarah in cantina; lui l’avrebbe uccisa e poi gettata in un pozzo. Tuttavia, più di qualcosa non quadra.

Agli inquirenti non convince l’assenza dei particolari nella prima versione dei fatti rilasciata da Misseri, in cui è ben spiegato l’atto dell’occultamento del cadavere ma pochi dettagli vengono descritti sui momenti dell’omicidio stesso. Perché? Passa poco più di una settimana e, dopo aver incontrato i propri legali, Michele Misseri cambia versione: Sarah e Sabrina stavano litigando e lui si sarebbe sentito in dovere di “intervenire”. La soluzione? Uccidere Sarah perché intenzionata a rivelare le molestie.

Per la prima volta, anche Sabrina entra in una storia in cui le ombre iniziano a muoversi lentamente e a danzare portando avanti un macabro balletto che avvolge i protagonisti della storia, sempre più colpevoli per l’opinione pubblica. Ma la difesa di Sabrina è tenace e non lascia spazio a dubbi: il padre starebbe cercando di “incastrarla”.

Ma perché dovrebbe farlo? Che Misseri stia cercando di coprire qualcuno se ne accorgono invece gli inquirenti già durante la prima versione dei fatti riportata dall’uomo; il coinvolgimento di Sabrina si rivelerebbe il pezzo mancante o uno dei pezzi fondamentali per l’accertamento della verità. Nel frattempo, i medici legali fanno sapere che non è possibile sapere se sul corpo di Sarah ci sia stata violenza, la stessa che Misseri ammette nel primo interrogatorio affermando di aver approfittato del cadavere della ragazzina. Tutto falso.

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